Tsunami giudiziario e gestione legislativa

Responsabilità civile sanitaria: tendenze giurisprudenziali e correzioni legislative

Il panorama della responsabilità in campo sanitario è, da anni, in movimento. L’andamento è stato, per così dire, parabolico.

Il primo decennio ha registrato un rafforzamento delle pretese risarcitorie. Ciò è avvenuto, soprattutto, per elaborazione giurisprudenziale. Si pensi, tra i molti punti, ai seguenti:

  • il contatto sociale è stato considerato equipollente a un perfezionamento contrattuale, con la conseguenza di ravvisare, non soltanto in capo alla struttura ma anche al personale sanitario, una responsabilità contrattuale.
  • Il nesso causale è stato ritenuto sussistere sulla base del criterio, di recente elaborazione, incentrato sulla probabilità (criterio del “più probabile che non”).
  • la vicinanza della prova, riguardando ovviamente sia la struttura sia il personale sanitario (anziché il malato o l’assistito), è stata ritenuta elemento tale da far gravare sulla struttura, e sul personale sanitario, l’onere di provare quanto necessario per escludere la propria colpevolezza (quindi, in sostanza, si è introdotta una quasi presunzione di colpevolezza).

In particolare, i primi due punti hanno rappresentato un profondo rivolgimento nei confronti di  determinazioni tradizionalmente consolidate: attribuendo “rilevanza contrattuale” al semplice “contatto sociale”, gli operatori sanitari si sono trovati a rispondere con responsabilità contrattuale (per loro nettamente sfavorevole, sul piano delle prove e della prescrizione, rispetto alla responsabilità extracontrattuale); inoltre,  il criterio del “più probabile che non” ha portato a ravvisare nesso causale in molti casi in cui il nesso, secondo le precedenti impostazioni, andava escluso (infatti, la teoria del più “probabile che non” approda all’esito secondo cui  il fatto A cagiona l’evento B quando A eleva la probabilità di B al 51%; oppure, persino, quando A eleva la probabilità di B, poniamo, dal 30% al 35%).

Come spiegarci che la giurisprudenza ha concretato una evoluzione in tal senso? Lo ha fatto perché i magistrati assumono i valori dal proprio contesto storico, e ispirano a tali valori le loro decisioni. In tal senso, l’evoluzione del sistema culturale e politico ha portato alla accentuazione di un’etica personalistica in cui si è notevolmente ampliata la sfera dei vulnera ritenuti insostenibili per la persona (e quindi, si è notevolmente ampliata la sfera di ammissibilità dei ristori risarcitori). Inoltre, in tutto ciò, ha avuto un ruolo anche l’orientamento mediatico, che si è fortemente indirizzato a sminuire la percezione dei limiti oggettivi della condizione umana (limiti che continueranno a sussistere nonostante le potenzialità tecnologiche) e si è fortemente caratterizzato pur un’enfasi sensazionalistica sulle negatività (pur fisiologiche, del resto, in qualsiasi settore).

In sostanza, la magistratura si è mossa e si muove per dare risposte a pressioni fortemente rappresentate. È pur vero che anche nella cultura dei magistrati è presente la consapevolezza che mutare una “regolarità giuridica” produce (al di là del processo) effetti sociali ed economici di varia natura (desiderabili o indesiderabili). Tuttavia, il modus agendi della professionalità magistratuale, per lo più, ha in primo piano valori e principi, rispetto ai quali perdono evidenza le macroconseguenze extraprocessuali (il cui controllo viene visto come un compito politico, riguardante le funzioni legislative e di governo).

Sta di fatto che, se si modifica un tassello rilevante entro il sistema (e la sfera risarcitoria è un tassello rilevantissimo) l’intero sistema socioeconomico si rimodula. E così è accaduto, ineluttabilmente, con gravi conseguenze “indesiderate”: erosione di immagine e di rispetto per i professionisti della sanità, reazioni in termini di medicina difensiva, balzo dei costi assicurativi (e anche qualcos’altro, in aggiunta a “tutto ciò”).

Il legislatore, la cui percezione è angolata su parametri diversi da un’ottica magistratuale, alla fine è intervenuto con la Legge n. 24/2017 c.d. Legge Gelli. Pur con il timore reverenziale verso il potere giudiziario, il legislatore, quantomeno, è intervenuto sul primo dei tre pilastri della creazione giurisprudenziale: ha ritoccato (diciamo pure, ha soppresso) la teoria del contatto sociale, cosicché siamo tornati alla responsabilità civile extracontrattuale (quindi, non contrattuale) in capo al personale sanitario; inoltre, il legislatore ha anche limitato la responsabilità del personale sanitario in caso di rivalsa da parte dell’amministrazione. Il legislatore è anche intervenuto su altri punti, come sulla responsabilità penale dei sanitari e sul sistema assicurativo; ma già il passaggio dalla responsabilità contrattuale a quella extracontrattuale (favorevole al personale sanitario e sfavorevole al richiedente il risarcimento) ha rappresentato una significativa “correzione di sistema”.

 

Equilibrio del sistema e irrompere del Covid19: tsunami anche giudiziario?

Domanda: a seguito di azione e reazione tra le componenti strutturali del sistema, si è pervenuti a un riequilibrio accettabile? In qualche misura, sì. Un equilibrio criticato, perché, a giudizio di molti, in tema di responsabilità sanitaria la legge Balduzzi appariva preferibile rispetto alla legge Gelli. Comunque, il legislatore si è mosso.

Su tale assestamento si è abbattuto, tuttavia, lo tsunami del corona virus.

I decessi dei contagiati, le patologie residuali nei guariti, i decessi e le patologie dei malati che (non affetti da covid19) non hanno trovato adeguate cure per l’ingolfamento del sistema, sono un universo di “fatti” che stanno per diventare un universo di “fattispecie concrete” (concretissime) nel sistema giudiziario. E così, come effetto collaterale dello tsunami sanitario, si profila uno tsunami giudiziario

Ancora una volta, sotto il profilo piscologico e quantitativo non è e non sarà estraneo il sistema dell’informazione, le cui accentuazioni (si pensi ai servizi sugli anziani “fatti fuori” nelle case di riposo, e si pensi all’amplissimo risalto dedicato ai parenti delle vittime) già fanno intuire estese risorse per professionalità disinvolte e per aspettative consolatorie.

Al fine di prospettare una panoramica che difficilmente può essere completa, ma che già così può essere indicativa, va considerato che le pretese risarcitorie si articoleranno in un contenzioso derivante dalla combinazione dei seguenti parametri.

  • la tipologia del soggetto danneggiato: il malato, l’operatore sanitario, altri soggetti (come il parente che sia acceduto per visitare l’assistito, o l’idraulico che sia acceduto per riparare un rubinetto); nonché, ovviamente, gli eredi dei soggetti indicati.
  • la tipologia del fattore causale: carenze gestionali delle strutture; atti posti in essere da soggetti afferenti al personale sanitario.

In letteratura è normale parlare, genericamente, di “carenze organizzative delle strutture”, oppure anche (come qui si preferisce) “carenze gestionali”. Tuttavia, è ovvio che, dietro il velo delle carenze strutturali o gestionali, verranno poi ricercate e individuate posizioni soggettive di responsabilità personali; cosicché, oltre alla responsabilità delle strutture, verranno in considerazione eventuali “atti” (non solo commissivi, ma soprattutto omissivi) posti in essere da soggetti con poteri gestionali.

Il risultato di tale combinatoria va a presentare, grosso modo, la seguente articolazione:

  • Danni, al malato di covid, derivanti da carenze gestionali delle strutture sanitarie. Si pensi ai danni alla salute, del malato di covid che non ha trovato posto in struttura sanitaria, poniamo in reparti di terapia intensiva, oppure ha trovato posto tardivamente rispetto alle necessità per il fronteggiamento della malattia.
  • Danni, al malato non di covid, derivanti da carenze gestionali delle strutture sanitarie. Si pensi ai danni alla salute, del malato non di covid, perché non ha trovato posto, oppure ha trovato posto tardivamente nel reparto di destinazione che era stato dedicato ai malati di covid; oppure ha contratto poi contagio nel reparto di destinazione.
  • Danni al malato (di covid o no) per colpe del personale sanitario operante in contesti di emergenza.
  • Danni, all’assistito in struttura sociosanitaria, derivanti da carenze gestionali della struttura o da colpe del personale sanitario operante in contesti di emergenza
  • Danni, a soggetti afferenti al personale sanitario, derivanti da carenze gestionali delle strutture. Si pensi ai danni derivanti dal fatto che il personale sanitario non era dotato degli strumenti occorrenti per adeguata protezione.
  • Danni, ad altri soggetti, derivanti da carenze gestionali delle strutture o da colpe del personale sanitario operante in contesti di emergenza. Si pensi ai danni alla salute, subiti da visitatori o da maestranze, per carenze gestionali delle strutture; in particolare, si pensi all’accesso, per visita a malato o ad assistito, in contesti o tempi in cui il contatto era (normativamente o prudenzialmente) da vietare, oppure era da consentire con modalità di adeguata protezione; si pensi, anche, ai danni lamentati da un congiunto (di un malato o di un assistito), che chieda ristoro per non avere potuto rapportarsi al coniuge o parente (con vulnus di un diritto totalmente sacrificato anziché bilanciato tramite limitazioni o da specifiche modalità).
  • Danni, pretesi iure successionis, ed anche iure proprio, dagli eredi di soggetti deceduti che siano ascrivibili alle tipologie precedenti. Si pensi in particolare, ai danni iure proprio lamentati da soggetti che non abbiano potuto presenziare alle esequie del defunto.

Come si vede, ce n’è abbastanza per dire il Covid19 ha regalato (e potrebbe persistere nel regalare) non solo una epidemia sanitaria, ma anche una sua proiezione sotto forma di epidemia giudiziaria.  

 

L’emergenza alla luce delle norme vigenti.

Si incontrano posizioni secondo cui tipologia contenziosa, in tema di covid,  è tale da poter essere gestita alla luce delle norme vigenti in tema di responsabilità sanitaria, senza che se ne debbano inventare di nuove.

Per esempio: il sanitario che, dedicandosi a un paziente di Covid, ne avrà trascurato un altro (malato di covid oppure no) potrà invocare lo stato di necessità: aver “compiuto il fatto dannoso, costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo di un danno grave alla persona, e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato né era altrimenti evitabile”. Nel qual caso si esce da regime della responsabilità e si entra nell’ambito del ristoro indennitario, rimesso all’equo apprezzamento del giudice.

Tuttavia, cosa succede se un sanitario, sotto stress in contesto emergenziale, compie un atto medico con imprudenza o negligenza senza che sia (nel caso) invocabile lo stato di necessità? Ne risponde. Non ne risponderebbe se avesse compiuto l’atto medico con imperizia (imperizia che risulta graziata dalla legge Gelli) purché si osservino linee guida e buone pratiche. Ma, in caso di negligenza o imprudenza, il sanitario risponde per colpa a prescindere da ogni considerazione del contesto emergenziale.

Ancora più esposta è la situazione di soggetti dotati di poteri funzionali, tra cui spicca il direttore sanitario: un magistrato potrebbe ritenere che il direttore sanitario avrebbe dovuto, per esempio, occuparsi della dotazione di mascherine e camici anche in tempo non sospetti (e avrebbe dovuto mantenerla congrua per ogni evenienza). In tal caso, la difesa di un direttore sanitario potrebbe apparire esile se motivasse che, del resto, quand’anche avesse fatto la richiesta, le occorrenti dotazioni non erano comunque disponibili a monte. La difesa potrebbe essere esile agli occhi di un magistrato, il quale potrebbe contestare i mancati tentativi da parte del direttore sanitario (anche perché, a seguito di richieste massicce da parte dei direttori sanitari, qualcuno, a monte, a livello regionale e poi statale, avrebbe potuto percepire il campanello d’allarme provvedendo, magari, a qualche adempimento.

Si potrebbe proseguire, ma è chiaro che le norme vigenti, soprattutto se interpretate in un contesto non più emergenziale, e se applicate con il senno di poi, farebbero ingiustamente una strage di tanti professionisti la cui dedizione e il cui eroismo non varrebbero ormai quasi nulla.

Esigenza di gestione gius-politica per la fase giudiziaria

Se non si vuole cedere alle pulsioni di una schiera di eredi la cui avidità attuale potrebbe essere persino superiore all’affetto remoto per il defunto, occorre evitare che (una volta superata auspicabilmente la tempesta sanitaria) gli operatori vengano giudicati oggi per allora con il senno di oggi.

Tra l’altro, questa esigenza vale non solo per gli esercenti le professioni sanitare (che, bene o male, per qualche tempo continueranno ad essere eroi per una parte dell’opinione pubblica), ma vale soprattutto per coloro che siano entrati a far parte dei processi gestionali in contesti emergenziali.

Del resto: l’emergenza e l’urgenza sono fattispecie da sempre previste in tutti gli ordinamenti, i quali ne tengono conto per un adeguato fronteggiamento anche discostandosi da norme ordinarie. Quindi, la necessità di tener conto dell’emergenza e dell’urgenza, anche tra gli elementi conformatori della responsabilità, può dirsi implicita per uno Stato di diritto.

A quali cautele si pensa, per non lasciare che gli operatori dell’emergenza vengano attaccati e giudicati come se l’emergenza fosse un dato giuridicamente irrilevante?

Se si va ad analizzare il dibattito sul cosiddetto “scudo” (dibattito che, seppure tuttora in secondo piano, inizia ad assumere una fisionomia articolata), i punti di rilievo sono i seguenti:

  • scudo per quali soggetti?
  • scudo nei confronti di quali eventi avversi?
  • Scudo in che modo? Vale a dire, quali dovrebbero essere gli strumenti giuridici approntati dallo scudo?

I soggetti

in primo luogo, il dibattito in tema di soggetti considera le strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private.

Quanto alle persone fisiche, alcuni progetti normativi si orientano alla tutela degli operatori sanitari, cioè, in sostanza, medici e infermieri. Tuttavia, si sta diffondendo la consapevolezza che la tutela debba estendersi anche ai soggetti con funzioni gestionali dirette o indirette, o abbiano cooperato con tali funzioni: anche per tali soggetti, infatti, la imprevedibilità dell’evento e la situazione emergenziale si sono riverberate come fattori irrimediabilmente ostativi per condotte efficienti ed efficaci.

Le fattispecie.

Una soluzione fortemente rappresentata parrebbe consistere nel considerare tutti gli eventi avversi non dolosi (qui, si badi, non dolosi) che siano comunque rapportabili, come causati in via esclusiva o concorrente, alla situazione epidemiologica.

Non mancano tuttavia impostazioni che si orientano a considerare gli eventi avversi solo se connotati, soggettivamente, da colpa lieve (pur da imprudenza e negligenza e imperizia, ma limitatamente alla colpa lieve).

Ovviamente sarà su questo terreno, riguardante l’elemento soggettivo, che il confronto sarà di maggiore rilievo, e con maggiori tensioni di ordine ideologico-politico. In quest’ambito, alcuni propongono di rivedere complessivamente il regime della responsabilità così come previsto dalla legge Gelli (e comincia ad affiorare la sensazione secondo cui il passo avanti, che la legge Gelli avrebbe effettuato nei confronti della legge Balduzzi, sarebbe stato sostanzialmente un passo indietro).

Gli strumenti.

Autorevoli giuristi propongono uno strumento interessante, limitato tuttavia alle persone fisiche (e, verosimilmente, solo per gli operatori sanitari).  La proposta è che, per le richieste di danni rapportabili al Covid19, non abbiano “legittimazione passiva” i singoli operatori inseriti in struttura sanitaria o sociosanitaria. Per tali danni, se cagionati per dolo o colpa grave, la responsabilità delle persone fisiche resterebbe da gestire nel percorso della rivalsa (sempre per dolo e per colpa grave, e con le altre regole previste dalla legge Gelli in tema di rivalsa).

Tale orientamento, di tipo processuale, incide sulla capacità dei soggetti (ai quali, per ragioni di tutela, viene tolta la capacità di essere convenuti). Altro orientamento si colloca invece sul piano sostanziale, e, affrontando il problema alla radice, nega la sussistenza di responsabilità civile e contabile per eventi avversi riconducibili alla situazione epidemiologica.

Sui punti indicati appare estesamente condivisa la percezione che occorra una gestione normativa. Tuttavia, è evidente il pericolo che tale percezione si affievolisca progressivamente, anche in rapporto all’estenuante protrarsi del conflitto tra le diverse posizioni.

Si pensi, comunque, al danno gravissimo che deriverebbe da un eventuale stallo, per rinuncia o per incapacità di provvedere: in tal caso, la coesione tra sanità e Paese verrebbe compromessa irrimediabilmente; inoltre, la situazione degli uffici giudiziari verrebbe ulteriormente intasata; infine, professionalità torbide troverebbero uno spazio insperato e pericoloso; il tutto avrebbe una risonanza distorta entro uno sfondo mediatico di campagne sensazionalistiche. In altri termini, un ulteriore disastro.

 

E la Costituzione?

Già dobbiamo immaginarci colui che – prevedendo insoddisfazione per la propria domanda risarcitoria, e comunque turbato per non poter convenire “come si deve” quel medico da cui si ritiene offeso – faccia un ragionamento del seguente tenore: la Costituzione recita che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (art. 24), e, inoltre, colloca il principio di eguaglianza tra i propri fondamenti; e allora perché non posso agire in giudizio contro un medico, incontrando lo sbarramento della sua incapacità di essere convenuto? E perché mai non è possibile ottenere da un medico quel risarcimento che invece si è sempre ottenuto da altri professionisti pur coinvolti negativamente da analoghe situazioni emergenziali (come terremoti o inondazioni)?

Insomma: sulle norme in tema di scudo non sono da escludere eccezioni di incostituzionalità. In considerazione di ciò, tali norme richiederanno particolare attenzione nei lavori preparatori, e soprattutto a livello di motivazione, per non incappare in qualche inconveniente che aggiungerebbe ritardo a ritardo, sconcerto a sconcerto. Inoltre, le medesime norme richiederebbero attenzione somma anche a livello di formulazione, per evitare il caos interpretativo che spesso viene a generarsi quando (come ormai frequentemente avviene) si abbassa la capacità tecnica nell’elaborare formulazioni direttive.

Lo Stato non può assolvere sé stesso sacrificando professionisti che lo Stato stesso ha contribuito mettere in pericolo con la propria imprevidenza.

In sintesi, alcune domande. Chi non ha fornito linee guida per i momenti emergenziali che pur, prima o poi, finiscono per capitare? Chi non ha disposto presidi adeguati che, prima o poi, finiscono per essere necessari anche urgentemente?

Tutto ciò è mancato a livello alto e molto alto della “catena di comando”. Ed anche i posti di terapia intensiva erano pochi, soprattutto in impietoso confronto con paesi più attenti. Ma, del resto, ciò non è estraneo all’italico costume, che tende a tamponare le richieste con maggiore visibilità, magari a scapito di esigenze serissime ma non rappresentate.

E allora cosa può fare lo Stato? Come si relazionano, in questo caso, i poteri dello Stato? Il Potere legislativo può forse lasciare consegnati, al Potere giudiziario, tanti soggetti, tanti professionisti, tanti direttori sanitari, tanti amministratori, che si sono trovati in enormi difficoltà anche perché sono mancati solidi aiuti predisposti “a monte”?

Se ciò accadesse, sarebbe un vulnus grave in un Paese che, soprattutto oggi, deve resistere alla ricorrente tentazione di farsi del male; e sarebbe un vulnus in contrasto con i valori fondanti dello Stato di diritto e della Carta costituzionale.