Parte seconda: tra profili giuridici e macro-tendenze valoriali

 

La legge 219/2017 e il decreto del 10 dicembre 2019

La legge 219 porta la data del 22 dicembre 2017; il Decreto ministeriale, di attuazione, porta la data del 10 dicembre 2019. La differenza temporale, consistente, è stata percepita in ottiche per qualche verso contrastanti: da alcuni, l’attesa è stata vissuta con allarme e preoccupazione (temendo una strategia di rinvio, se non peggio); altri ne hanno tratto rassicurazione (ipotizzando sensibilità  di approfondimento e ponderazione su punti delicati).

Alla fine, il decreto c’è, e le Disposizioni anticipate di trattamento (DAT, dora innanzi) sono diventate operative tramite la regolamentazione della Banca dati (con i suoi flussi in entrata e in uscita, di alimentazione e di accesso).

Valore Persona, valore Libertà e principio di autodeterminazione sanitaria

Il principio generale, a cui la legge 219 si ispira, è corollario di un’etica personalistica incentrata sul valore Libertà: corollario che si specifica, nel caso, come autodeterminazione della Persona in materia sanitaria. Se lo si formula nei modi in cui vengono ordinariamente espresse le libertà, la formulazione suonerebbe in positivo, e pertanto in questi termini: ogni trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito solo con il consenso libero e informato della persona interessata. La legge, peraltro, nell’articolo 1 primo comma, preferisce una formulazione in negativo (come libertà da …): nessun trattamento sanitario può’ essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. È una sottigliezza comunicazionale, ma significativa della impostazione culturale sottesa (su cui, in fine, occorrerà tornare).

Il trattamento sanitario: nozione

Poiché la norma dispone che nessun “trattamento sanitario” può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, ne deriva che la nozione di “trattamento sanitario” è centrale ai fini della applicazione della norma.

Ciò non significa che il legislatore avrebbe dovuto formulare una definizione; è pur vero che il legislatore, internazionale o nazionale o regionale, è solito formulale un lungo elenco di definizioni; ma, questa volta, il legislatore non definisce (ed è un atteggiamento ineccepibile, che si traduce, sostanzialmente, in una delega alla elaborazione giurisprudenziale).

Tuttavia, è interessante notare una definizione parziale (una cosiddetta definizione precisante) inserita nell’articolo 1 quinto comma: “sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici”. L’importanza della precisazione è evidente: ciò che entra nell’ambito del trattamento sanitario ha lo status di trattamento disponibile, cosicché: il paziente può disporre; e il medico (come risulta dal sesto comma) deve eseguire quanto formulato dal disponente.

La sentinella della volontà del paziente: Il fiduciario

Il fiduciario, in caso di incapacità del paziente, è la voce del paziente stesso entro il dialogo con il medico. In particolare, ne è il custode e l’interprete (in coerenza con di lui personalità, che si presume ben conosciuta da parte del fiduciario poiché scelto dal paziente in funzione così sensibile).

In caso di conflitto tra il fiduciario e il medico (il primo, come figura a dominanza personalistica, mentre il secondo è figura a dominanza tecnico-scientifica) non resta che il giudice: il quale, non solo in questa legge, si vede vieppiù “fiduciario istituzionale” in delicatissime valutazioni caratterizzate da bilanciamenti complessi.  Difficile non cogliere, anche qui, uno snodo tecnico e valoriale di grande impatto (con elevata possibilità di divergenze nella valutazione della legge, a seconda degli orientamenti culturali).

Il vincolo del medico: principio, limiti, esenzioni da responsabilità

Nel primo articolo della legge 219, sesto comma, è stabilita la natura vincolante delle volontà del paziente (e, quindi, anche delle DAT). Se ne ricorda il testo:

“Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”.

Ecco alcuni punti chiave.

Il vincolo del medico: il medico è tenuto a rispettare la volontà, di rifiuto o di rinuncia, da parte del paziente (la natura vincolante è chiarita, del resto, anche in rapporto alla denominazione delle DAT: la denominazione tecnica è ‘Disposizioni anticipate di trattamento’, mentre è stata esclusa la denominazione, alternativa ed attenuata, di ‘Indicazioni anticipate di trattamento’.

Il limite al vincolo del medico: il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale, alle buone pratiche clinico-assistenziali.

L’esenzione dalla responsabilità civile e penale: il medico è esente da responsabilità civile e penale per le attività in esecuzione della volontà del paziente (volontà, si noti, di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo: ci si riferisce, quindi, alle disposizioni in negativo).

Il venir meno dell’obbligo professionale: vi è poi questo altro elemento, che è di difficile interpretazione. Dinnanzi a richieste di trattamenti sanitari contro la legge, contro la deontologia e le buone pratiche, il medico non ha obblighi professionali. Domanda: ma era pensabile che, in tali casi, avesse obblighi? E allora cosa vuol dire tale formulazione, invero strana perché apparentemente tautologica?

Terapia del dolore, e autodeterminazione.

Si ricorda l’art. 2, primo comma, della legge 219:

  1. Il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.

Questa disposizione (in aggiunta al sesto comma dell’articolo 1) introduce un ambito ulteriore in cui l’autodeterminazione del paziente viene meno; e viene meno perché cede il passo al dovere del medico. Infatti: “in caso di rifiuto o revoca del consenso al trattamento sanitario …  il medico deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze”.

Sedazione palliativa profonda continua, e autodeterminazione

Si ricorda il testo dell’art. 2, secondo e terzo comma, della legge 219:

  1. Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può’ ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente.
  2. Il ricorso alla sedazione palliativa profonda continua o il rifiuto della stessa sono motivati e sono annotati nella cartella clinica e nel fascicolo sanitario elettronico”.

Questo secondo comma è da interpretare attentamente in rapporto a un limite ancora ulteriore alla autodeterminazione del paziente. In riferimento a “sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari”, la norma recita che il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua. Cosa dire di questo ‘può’? Significa, verosimilmente, che il medico può ricorrere ma può non ricorrere. Se vi ricorre, la norma chiarisce che occorre il consenso del paziente. Ma nulla dice per il caso in cui sia il paziente a richiedere la sedazione, oppure, essendo il paziente incapace, vi sia volontà in tal senso nelle DAT, oppure vi sia richiesta da parte del fiduciario: il tal caso, se il medico procede a tale sedazione, può dirsi che sussista il consenso del paziente; peraltro, se non procede, rispetto alla lettera e al sistema della norma, non parrebbe esservi tenuto.

Contenuto delle DAT

È un punto tecnico, non ripreso nel Regolamento. Le Dat contengono le volontà del disponente in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Contengono, altresì, le volontà del disponente relative al fiduciario il quale ne faccia le veci nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie; si possono nominare più fiduciari (ciò potrebbe dar luogo a qualche complicazione, ma così è).

Forma delle DAT

È un altro punto tecnico: le DAT sono redatte con atto pubblico o con scrittura privata autenticata o per scrittura privata; nei casi in cui le condizioni del soggetto non consentano tali forme, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazioni oppure attraverso altri dispositivi che permettano di comunicare. Sono tradizionali requisiti di forma, che vanno nel senso di richiamo attenzionale e di garanzia.

Alcuni avrebbero preferito una scrittura privata in forma forte, come per il testamento (scritto, datato, sottoscritto dal disponente): per le DAT, invece, è sufficiente la forma scritta con sottoscrizione, ma a ciò si aggiunge il requisito della “consegna personale da parte del disponente”.

Attestazione della incapacità del paziente

 il medico, all’atto dell’accesso alla banca dati per conoscere le DAT di un soggetto in sua cura, deve attestare la incapacità del paziente di autodeterminarsi. Si tratta di una attestazione sempre delicata, che talvolta può mettere in difficoltà: si pensi al caso di un paziente che abbia un fiduciario inviso alla famiglia, e che, tra i familiari e il fiduciario, vi siano tensioni e opinioni contrastanti. Il medico, per attingere alle DAT e confrontarsi con il fiduciario, dovrà accertare e attestare la incapacità del paziente: in alcuni vi sarà evidenza, ma non sempre e allora la posizione del medico potrà essere problematica. Occorreranno, quindi, protocolli scrupolosi (per la tutela del paziente, per il rispetto delle famiglie, e per la serenità del professionista).

Eccezioni al rispetto delle DAT.

Nel primo articolo della legge (riferito sopra) il legislatore ha voluto sottolineare la dominanza personalistica in tema di trattamenti sanitari, e da qui, in via di principio, la subordinazione del medico alla volontà del paziente. Nell’articolo 4, quinto comma, vengono invece riconosciute situazioni in cui le DAT possono essere disattese, in tutto o in parte. I casi sono tre: palese incongruità; non corrispondenza alla condizione clinica attuale del paziente; sopravvenienza di terapie utili che non erano non prevedibili al momento della sottoscrizione delle Dat. Ma Il medico, per disattendere le Dat, deve avere “copertura” da parte del fiduciario; altrimenti, ancora una volta, vedrà il giudice.

L’obiezione di coscienza.

La norma recita che il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali. Questa formulazione è stata intesa come riconoscimento della obiezione di coscienza. In proposito è certo che, dinanzi a richieste in positivo, se contrarie a legge o deontologie o buone prassi, il medico può rifiutarsi.

Ma le DAT sono disposizioni in negativo, ostative all’inizio e alla prosecuzione del trattamento; e qui non è facile ipotizzare una obiezione di coscienza fuori dei tre casi tassativi previsti dalla norma (articolo 4, quinto comma. Verosimilmente, però, non mancheranno casi problematici e, come al solito, si vedrà cosa diranno i giudici.

Una considerazione di fondo: i due modelli dell’etica personalistica

Le norme sul consenso informato, e la loro proiezione nelle DAT, si collocano in un solco culturale e valoriale che viene autorevolmente da lontano, e che tende a potenziare il valore Persona attribuendo, al singolo, crescenti spazi di libertà (e quindi autodeterminazione per l’intero arco della propria vita,  anche nelle fasi di fragilità, di debolezza, di affievolimento sino ai momenti terminali).

L’etica personalistica registra tuttavia un diverso filone, che viene anch’esso autorevolmente da lontano, secondo cui l’autodeterminazione incontra limiti potenti, rispetto ai quali i profili di libertà devono cedere il passo al rispetto oggettivo di profili indisponibile della Persona.

Per intenderci con un paio di formulazioni sebbene superficiali, è possibile ravvisare, nel primo caso, un’etica personalista a dominanza di libertà; e invece, nel secondo caso, un’etica personalistica a dominanza ontologica.

Facile constatare che, nell’attuale momento storico, il confronto tra le due impostazioni è molto forte, con motivazioni forti da entrambi le parti. In via indicativa, uno dei punti di frizione, tra quelli di maggiore evidenza, ha riguardato e riguarda la “precisazioni definitoria” in tema di trattamenti sanitari (attraverso cui la nutrizione artificiale e la idratazione artificiale sono entrate nell’area della disponibilità del paziente).

La disciplina delle DAT, comunque, è andata nel senso di incrementare la sfera dell’autodeterminazione, erodendo alcune frontiere tradizionali di un’etica ontologica.  Anche in questo campo la giurisprudenza, a partire da quella costituzionale, ha cominciato da tempo ad affiancare la politica (o a sostituirla) percorrendo un autonomo itinerario di elaborazione, e si vedrà.