Il fatto. Una donna accusa un odontoiatra di avere eseguito con grave imprudenza un intervento di implantologia – consistito nell’inserimento di impianti endossei – cagionandole la lesione del nervo trigemino e la perdita permanente della sensibilità della parte inferiore sinistra del mento. Inoltre, sebbene l’intervento fosse stato eseguito in Serbia, l’odontoiatra aveva eseguito i controlli medici post-operatori in Italia (ispezionando il cavo orale della donna e provvedendo alla limatura degli impianti) senza l’autorizzazione ad esercitare la professione medica sul territorio.

Il Primo grado. Il Tribunale condanna l’odontoiatra per i reati di lesioni colpose gravi ed esercizio abusivo della professione medica.

Il Secondo grado. La Corte d’Appello conferma la sentenza del Tribunale.

La Corte di Cassazione. E’ meritevole di segnalazione uno dei motivi di ricorso in Cassazione proposti dall’odontoiatra – il solo ritenuto ammissibile – con il quale egli deduce un vizio di motivazione nella sentenza di appello per avere i giudici “individuato la data di decorrenza del termine per proporre la querela dal momento in cui la persona offesa aveva appreso dal medico a tal fine incaricato la natura e l’entità della lesione da lei patita, anziché da una data antecedente,”. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, tuttavia, il motivo di ricorso è infondato. Essi sottolineano il consolidato principio interpretativo, correttamente applicato dai giudici di merito, secondo il quale “Il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l’hanno curata”. La Corte di Cassazione rigetta perciò il ricorso proposto dall’odontoiatra, confermando la sentenza della Corte d’Appello.

Breve commento. L’art. 124 del codice penale prescrive che la querela sia presentata nel termine perentorio di tre mesi dalla notizia del fatto costituente reato. La giurisprudenza ha più volte ribadito come tale termine decorra dalla effettiva conoscenza del fatto che ha la persona offesa in relazione alla sua qualifica di reato e alla individuazione dell’autore (“Il termine per la presentazione della querela inizia a decorrere dal momento in cui la persona offesa abbia avuto la piena cognizione di tutti gli elementi di natura oggettiva e soggettiva che consentono la valutazione sulla consumazione del reato” – Cass. pen., sez. IV, n. 13938/2008). Ad esempio, si può sapere che è accaduto un determinato evento, ma non essere ancora in possesso degli elementi per qualificarlo come reato: in una situazione del genere (come nel caso di specie trattato) il termine per proporre querela (dies a quo) comincerà a decorrere dal momento in cui il quadro oggettivo e soggettivo sarà completo, indipendentemente dal momento in cui è stata posta in essere la condotta o si è verificato l’evento.