Cass. civile. Sezione III. 27 4 2018. N. 10158 

 

Fatto

La sig.ra X Y.  si era sottoposta, nel (OMISSIS), a visita mammografica presso l’ospedale di (OMISSIS) e, all’esito di detta visita, il dott. Med1 aveva stilato referto radiologico [rad1] che evidenziava, in corrispondenza del quadrante esterno della mammella destra, pressoché sul piano equatoriale, una piccola formazione opaca, di forma ovoidale e di natura benigna.Dopo tale evento, si era sottoposta a periodici controlli, con cadenza sostanzialmente semestrale;

In data (OMISSIS) si era sottoposta a mammografia presso l'(OMISSIS) e, in tale occasione, il medico che aveva eseguito l’esame radiologico [rad2], dott.ssa Med2, non aveva ritenuto opportuna l’esecuzione di altri esami di approfondimento;

In data (OMISSIS) si era sottoposta a mammografia presso l'(OMISSIS) e, in tale occasione, il medico che aveva eseguito l’esame radiologico [rad3], dott. Med3, aveva stilato referto radiografico che concludeva come segue: “Obiettività rx del tutto stazionaria rispetto ad ultima indagine del (OMISSIS); in particolare risulta immodificato il raggruppamento di piccole calcificazioni al quadrante esterno. Si consiglia nuovo controllo unicamente alla mammella destra fra 6-8 mesi”;

In data (OMISSIS) la Signora si era nuovamente sottoposta a mammografia presso la struttura (OMISSIS) e, in tale occasione, l’esame radiologico [rad4] era stato eseguito ancora dal predetto dott. Med3, il quale aveva stilato referto radiologico del seguente tenore: “Lo studio della mammella dx effettuato con mammografia nel piano frontale ed obliquo medio laterale con tecniche differenziate documenta la presenza di addensamento, a profili sfrangiati ed irregolari del diam. trasverso max di circa 3-4 cm localizzato al quadrante supero/esterno dx. Sono inoltre presenti in adiacenza all’addensamento sopradescritto alcune piccole calcificazioni raggruppate stabili rispetto a precedenti controlli. A completamento della indagine mammografica è stata eseguita indagine etg, che viene allegata che conferma e documenta la presenza di lesione solida etero di 3-4 cm con piccoli noduli satelliti. Si richiede ricovero ospedaliero per accertamenti e cure del caso”;

Successivamente, in data (OMISSIS), era stata ricoverata presso la struttura (OMISSIS), ove era stata sottoposta ad intervento chirurgico d’urgenza, seguito da esame istologico, che aveva sorretto la diagnosi di “carcinoma duttale infiltrante dall’elevato grading (43) e metastasi linfonodali in tre dei ventisei linfonodi esaminati”.

Danni e responsabilità prospettati

Ciò considerato in fatto, la signora X.Y. e poi gli eredi lamentavano i danni derivati dagli esiti della vicenda delineata, addebitando, alla dott.ssa Med2 e al dott. Med3, colpa professionale/responsabilità extracontrattuale, e, all’ospedale, responsabilità contrattuale, in relazione alla tardiva diagnosi, a sua volta conseguita alla mancata esecuzione di approfondimenti prospettati come assolutamente necessari ed ineludibili, ai fini di una diagnosi senologica corretta ed esaustiva; veniva chiesta, pertanto, la condanna solidale dei convenuti al risarcimento.

Si costituiva in giudizio la struttura. resistendo alla pretesa attorea, mentre la dott.ssa Med2 ed il dott. Med3 rimanevano contumaci.

Primo grado

Il Tribunale, dopo l’effettuazione di tre consulenze legali, ha respinto la domanda risarcitoria compensando le spese di lite.

In particolare, il Tribunale – dopo aver richiamato il principio per cui il nesso causale è ravvisabile allorquando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica-universale o statistica, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento “hic et nunc”, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato in un’epoca significativamente posteriore o con minor intensità lesiva – calando tale principio nel caso di specie, ha respinto la domanda risarcitoria sulla base delle seguenti argomentazioni:

il giudice non può desumere la sussistenza di detto nesso causale dal mero coefficiente di probabilità, espresso dalle legge statistica, ma deve verificare la validità di detta legge nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, così che, ad esito del ragionamento probatorio che escluda l’esistenza di fattori alternativi, risulti giustificato e processualmente certo concludere che la condotta omissiva o in ogni caso colpevole del medico, con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica, è stata condizione necessaria dell’evento lesivo;

– detta indagine, nella controversia aveva reso necessaria l’effettuazione di tre consulente tecniche d’ufficio, a cagione del contrasto determinatosi fra le conclusioni raggiunte dai professionisti di volta in volta incaricati;

– andava condiviso il giudizio espresso dal Consulente3, il quale, in sintesi,  aveva escluso che la condotta posta in essere dai sanitari convenuti fosse passibile di censure, in quanto questi erano medici radiologi (e, dunque, non clinici e neppure chirurghi) e non potevano sostituirsi a questi ultimi, non rientrando nei loro compiti quello di visitare la paziente, anche in considerazione delle difficoltà e delle insidie che comporta la delicatissima semiologia mammaria: in sostanza, l’esame mammografico, da solo, non era sufficiente alla formulazione di una diagnosi senologica corretta, in quanto esso deve seguire o precedere la valutazione clinica da parte dello specialista, senologo od oncologo, cui, nel caso di specie, la Sig.ra X.Y. aveva ritenuto di non doversi rivolgere, anche se ciò avrebbe probabilmente consentito una diagnosi più precoce del tumore.

Secondo grado

La Corte di appello – dopo aver disposto l’integrazione della consulenza tecnica d’ufficio, a cura del già nominato Consulente3, anche in punto di accertamento del danno risarcibile conseguente alle inadempienze addebitate alle parti convenute con la sentenza impugnata – respingeva l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado.

 

Corte di cassazione

La Corte di cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.

In particolare, la corte di Cassazione, valutando la motivazione della Corte di Appello, la ha ritenuta incensurabile per le seguenti ragioni.

La Corte di appello – dopo aver premesso che “valutata la singolare complessità, anche scientifica, delle questioni che caratterizzano la presente controversia”, e “ritenuto utile provocare il terzo consulente tecnico d’ufficio ad una rivalutazione della materia ed a portare a compimento l’incarico a suo tempo conferito dal Tribunale, anche relativamente agli aspetti che riguardano più propriamente il “quantum debeatur“” – ha in primo luogo precisato che il thema decidendum si identificava “nell’accertamento dell’esistenza di colpevoli omissioni da parte prima della dott.ssa Med2 e poi del dott. Med3 nell’affrontare le incombenze correlate all’esecuzione dell’esame mammografico, a carico della Signora X.Y., rispettivamente il (OMISSIS) ed il (OMISSIS), e del rapporto di causalità fra esse, qualora sussistenti, e l’infausto decorso della grave malattia che aveva colpito l’attrice, conducendola alla morte, sopravvenuta nel corso del grado di appello.

Quindi la Corte d’appello – dopo aver rilevato che la relazione depositata dal Consulente3 era meritevole di essere accreditata, in quanto sorretta dall’allegazione di circostanze non controverse e dall’esposizione di convincenti argomenti logici e scientifici – confermava in toto le valutazioni sulle quali poggiava la sentenza di primo grado respingendo i motivi di doglianza sia in relazione all’operato della dott.ssa Med2 che in relazione all’operato del dott. Med3.

  1. A) Quanto all’operato della prima [Med2], la Corte ha rilevato “l’evidente esclusione” di qualsivoglia contributo causale rispetto alla, in tesi difensiva, mancata o tardiva diagnosi della neoplasia, poi riscontrata in occasione della mammografia eseguita il (OMISSIS): invero, non soltanto l’esame mammografico eseguito sulla sig.ra X.Y. (a seguito di prescrizione del ginecologo) non aveva evidenziato nulla oltre alla presenza di un “piccolo cluster” di microcalcificazioni, di natura probabilmente benigna, come riscontrato dalle indagini effettuate successivamente, ma, addirittura, ad avviso dell’ausiliario, detto esame, quand’anche seguito da una ecografia mammaria, in maniera del tutto inverosimile avrebbe potuto segnalare, sia pure in fase “inizialissima”, il nodulo maligno sopra menzionato. Tale giudizio era stato congruamente motivato con la sottolineatura della “rilevante malignità del tumore”, caratterizzato da una significativa velocità di accrescimento, in guisa da fondare la convinzione che esso, quasi certamente, ebbe a comparire in epoca successiva al mese di (OMISSIS).
  2. B) Quanto poi alla condotta professionale del dott. Med3., la Corte d’appello, ritenendo necessaria una più articolata valutazione, ha argomentato nei termini che seguono sulla base della espletata ctu:

– alla luce del senno di poi, è verosimile che, all’epoca della mammografia [rad3] eseguita dal dott. Med3, l’effettuazione di un esame ecografico avrebbe potuto evidenziare la nodularità maligna al quadrante supero-esterno, in fase iniziale. Evidenza questa che non era stata ottenuta con il solo esame radiografico, che pur aveva mostrato ampiamente il quadrante predetto, “ossia il quadrante parenchimale che alla successiva indagine [red4] risultò essere impegnato dalla grossolana neoformazione maligna del diametro di oltre 3 cm”;

– il c.t.u. aveva ricavato dalla “sicura assenza di micro-calcificazioni maligne alla mammografia [rad3] del (OMISSIS)”, che invece erano in netta evidenza alla mammografia [rad4] del (OMISSIS), e, dunque, dalla certa comparsa delle medesime in epoca successiva al (OMISSIS), un sicuro indizio di “una neoplasia comparsa di recente, poiché in rapido accrescimento”; e – sulla base dei dati relativi, per un verso, alla rilevata estrema velocità di accrescimento e di propagazione del tumore e, per l’altro, alle caratteristiche che il tumore presentava nel (OMISSIS) (asse maggiore di cm 3,2 e presenza di metastasi in 3 dei 17 linfonodi asportati) – aveva reputato che, verosimilmente, all’epoca della mammografia eseguita dal dott. Med3, il tumore potesse avere già un diametro di cm 1-2 e un seppur contenuto interessamento linfonodale ascellare;

– il consulente tecnico, proseguendo nell’indagine, aveva affrontato il tema attinente agli effetti che, stanti le delineate caratteristiche del tumore, avrebbe potuto avere una diagnosi più tempestiva (che, nella logica della complessiva esposizione, non poteva che essere successiva al (OMISSIS) ed era pervenuto alla ferma convinzione (addirittura dichiaratamente rafforzata rispetto a quella espressa nella precedente relazione peritale) per cui “l’incolpevole ritardo diagnostico di circa otto mesi non determinò comunque una terapia medica e chirurgica diverse da quelle che sarebbero state poste in essere, se la diagnosi fosse stata tempestiva ed anzi più tempestiva ossia formulata in sede di precedente esame radiologico [rad3] ; ciò in quanto, anche nella ben più grave situazione riscontrata poi  [in sede di rad4], non vi erano controindicazioni all’esecuzione di un intervento di terapia conservativa (quadrantectomia) anziché demolitiva (mastectomia). E che, quanto alla chance di sopravvivenza, il peggioramento prognostico si era realizzato in termini non già di qualche anno, ma di qualche mese.

In conclusione, la Corte d’appello, accreditando l’opinione espressa dal tecnico incaricato, ha confermato il rigetto della domanda, già operato e motivato dal Giudice di primo grado, ritenendo che – quand’anche fosse addebitabile (ma il consulente tecnico d’ufficio era propenso ad escluderlo) al dott. Med3 un ritardo nella diagnosi – in concreto nessun effettivo danno ne sarebbe conseguito a carico della sig.ra; ciò in quanto l’esito infausto sarebbe stato, ugualmente, inevitabile (ancorché, di pochi mesi, ritardato) e, d’altra parte, il deterioramento delle condizioni complessive di vita, sotto i profili analiticamente illustrati anche nell’atto di appello, non avrebbe avuto differenti manifestazione e progressione [il corsivo è redazionale].

4.3. Orbene, i ricorrenti, attraverso le censure critiche articolate con i motivi in esame, si sono inammissibilmente spinti a prospettare la rinnovazione, in questa sede di legittimità, del riesame nel merito della vicenda oggetto di lite, come tale sottratto alle prerogative della Corte di cassazione. Invero, al di là del formale richiamo, contenuto nell’esposizione dei motivi, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, le censure sollevate in ricorso erano tutte dirette a denunciare la congruità dell’interpretazione fornita dalla Corte di appello del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti.

Deve qui ribadirsi che, da un lato, il giudice di merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, ma è sufficiente che, dopo avere vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata; e, dall’altro, non rientra nel sindacato di questo giudice di legittimità la facoltà di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo stato demandato dal legislatore a questa Corte di cassazione il controllo della sentenza impugnata sotto l’esclusivo profilo logico-formale della correttezza giuridica [il corsivo è redazionale].

Sotto detto profilo – premesso che nella sentenza impugnata non viene affatto affermata l’inutilità di una diagnosi precoce della neoplasia alla mammella e men che meno viene affermato che, in tale prospettiva, non assumano rilievo altri accertamenti, oltre alla mammografia – si ricorda che: a) il focolaio di neoplasia, che era stato evidenziato dal dott. Med3 nella mammografia [Rad4], non era visibile nelle due precedenti mammografie; b) in presenza di micro-calcificazioni benigne, quali quelle apparse nelle mammografie del (OMISSIS) e del (OMISSIS), le linee guida internazionali prevedono un follow up mammografico da effettuarsi in tempi brevi (e non indagini invasive, quali la biopsia in sterotassi); c) a tali linee guida risultano essersi attenuti la dott.ssa Med2 ed il dott. Med3, i quali, in tempi diversi, hanno entrambi consigliato alla sig.ra X.Y. controlli ravvicinati; d) solo l’esecuzione di una ecografia nel (OMISSIS) avrebbe potuto evitare il tumore, ma il ctu, come rilevano gli stessi ricorrenti, aveva ritenuto che, a detta data, “non v’era alcuna indicazione alla esecuzione della medesima”; e) entrambi i sanitari intervenuti erano radiologi, chiamati ad eseguire la mammografia e a darne corretta lettura, e non rientrava nei loro compiti suggerire lo svolgimento di altri esami o richiedere un consulto di altri specialisti, di talché la mancata esecuzione dell’approfondimento diagnostico, che era stato consigliato alla paziente nel certificato medico (OMISSIS), non poteva essere imputato loro (intervenuti oltre 10 anni dopo); f) in assenza di uno specifico comprovato addebito colposo, elevabile nei confronti dei medici radiologi, perde rilievo la disamina della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dagli stessi tenuti e l’evento letale poi purtroppo verificatosi [il corsivo è redazionale].

In definitiva, la sentenza impugnata [sentenza della Corte d’appello] supera il vaglio di correttezza logico-formale, demandato a questa Corte, di talché, in presenza di un dictum non violativo di alcuna norma di legge, come per l’appunto si verifica nel caso di specie, nulla rileva che le prove raccolte nel giudizio di merito avrebbero potuto o dovuto essere valutate in altro modo.

  1. Inammissibili sono il motivo sesto ed il motivo settimo, che concernono entrambi la dedotta responsabilità dell’Azienda Ospedaliera di K nell’esercizio di attività di prevenzione dei tumori.

Invero, la Corte territoriale – dopo aver rilevato che dal rigetto della domanda nei confronti dei due sanitari convenuti conseguiva il rigetto della domanda risarcitoria anche sotto il profilo della dedotta colpa attribuita all'(OMISSIS), per difetto di organizzazione del servizio di prevenzione – ha osservato che tale profilo della domanda era stato articolato tardivamente e genericamente soltanto in sede di atto di appello.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso. Condanna altresì i ricorrenti [eredi della Signora X.Y.], in via tra loro solidale, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, sostenute dall’Azienda Ospedaliera resistente, spese che liquida in Euro 8.000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Commento

Sono almeno le due le massime di rilievo astraibili dalla sentenza:

  1. “quand’anche fosse addebitabile al dottore un ritardo nella diagnosi, in concreto nessun effettivo danno ne sarebbe conseguito a carico della Sig.ra; ciò in quanto l’esito infausto sarebbe stato, ugualmente, inevitabile (ancorché, di pochi mesi, ritardato) e, d’altra parte, il deterioramento delle condizioni complessive di vita, sotto i profili analiticamente illustrati anche nell’atto di appello, non avrebbe avuto differenti manifestazione e progressione”.
  2. entrambi i sanitari intervenuti erano radiologi, chiamati ad eseguire la mammografia e a darne corretta lettura, e non rientrava nei loro compiti suggerire lo svolgimento di altri esami o richiedere un consulto di altri specialisti, di talché la mancata esecuzione dell’approfondimento diagnostico, che era stato consigliato alla paziente nel certificato medico (anteriore alle radiografie), non poteva essere imputato loro; in assenza di uno specifico comprovato addebito colposo, elevabile nei confronti dei medici radiologi, perde rilievo la disamina della sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dagli stessi tenuti e l’evento letale poi purtroppo verificatosi.

La prima massima è percepibile nei seguenti termini: l’esito infausto era inevitabile (sarebbe accaduto anche in presenza di diagnosi corretta e tempestiva); le condizioni di vita avrebbero subìto, comunque, il medesimo deterioramento; non sarebbe configurabile, quindi, un danno incrementale collegabile al ritardo diagnostico. Forse qualche approfondimento, o qualche assestamento di formulazione, avrebbe potuto apparire doveroso (per esempio, in rapporto al “ritardo di qualche mese nel decesso”: ma, in ogni caso, il senso è chiaro.

La seconda massima è di maggiore interesse: secondo la massima, ogni tecnico va identificato in rapporto alle proprie funzionalità specifiche; quindi, il radiologo fa e deve fare il radiologo, e allora non gli si chieda di fare anche il clinico. Quindi, se la prestazione radiologica è seguita da un danno per mancanza di raccordo clinico, ciò non è imputabile al radiologo. Questa massima è interessante perché alcune precedenti sentenze apparivano di segno opposto: infatti andavano in un senso, per così dire, ‘olistico’ (e cioè nel senso che il radiologo è comunque un medico, talché il suo orizzonte di responsabilità va riferito, pur con precisazioni e limiti, alla salute del paziente nel suo complesso).

La seconda massima farà discutere, e anche parecchio; ma, almeno per ora, farà trarre un sospiro di sollievo ai radiologi (e non solo).