Il fatto prospettato. Il paziente ***, affetto da leucemia linfatica cronica (LLC), viene ricoverato per la comparsa di dispnea ingravescente da alcuni giorni. Nel quarto giorno di ricovero, il quadro clinico si aggrava con una acutizzazione della dispnea a cui si aggiunge consistente agitazione psicomotoria. Il settimo giorno la situazione precipita, con decesso del paziente il giorno successivo.

Per tutto il periodo del ricovero, non sarebbero state somministrate cure palliative di alcun genere, cagionando in tal modo eventi di danno in due sfere di soggetti: al paziente, nonché ai congiunti.

Il danno al paziente è prospettato consistere nella sofferenza per mancanza di cure palliative (sofferenza evitabile ma non evitata); altresì, il danno al paziente è prospettato per lesione dei diritti della persona, poiché, negli ultimi giorni di vita, non sarebbero state garantite condizioni di rispetto della sua dignità.

Il danno ai congiunti è prospettato nel disagio e nella sofferenza per la percezione malato in tali condizioni (in quanto non fronteggiate dalla somministrazione delle cure palliative); nonché nella proiezione di tale disagio e sofferenza nella fase di elaborazione del lutto (con esiti di danno biologico permanente patito dalla Signora ***, vedova del paziente).

Le domande risarcitorie. Alla struttura sanitaria, e ai sanitari, viene chiesto il risarcimento dei danni patiti:

  • risarcimento iure hereditatis, chiedendo che il danno del paziente venga risarcito ad essi in quanto eredi;
  • risarcimento iure proprio, chiedendo che venga risarcito il danno patito direttamente, a prescindere da quello subìto dal paziente: danno morale subìto dai congiunti per perdita parentale, e danno biologico patito specificamente dalla vedova.

In via istruttoria, viene chiesto che, in caso di contestazione circa la responsabilità, venga disposta CTU medico legale al fine di valutare: a) la sussistenza delle condizioni cliniche idonee a rendere necessaria la somministrazione (non effettuata) di trattamenti palliativi; b) la ravvisabilità di elementi di dolo o colpa imputabili ai sanitari.

Il primo (e attualmente unico) grado. Il Tribunale di Bologna accoglie le domande iure hereditatis, e in parte le domande iure proprio.

In fatto. Il Tribunale, sulla scorta della CTU, accerta quanto segue.

Il primo ottobre, al momento del ricovero, il paziente rappresenta la fase terminale di una malattia ematologica ad evoluzione maligna, ovvero una leucemia linfatica cronica (LLC, accertata nel 2008 e trattata con chemioterapia antitumorale); il paziente viene accolto evidenziando, specificamente, dispnea (difficoltà di respirazione) ingravescente da alcuni giorni.

Il 2 ottobre il paziente mostra una condizione sostanzialmente stazionaria.

Il 3 ottobre il paziente migliora rispetto all’ingresso: non più dispnea, e netto miglioramento clinico.

Il 4 ottobre si registra una riacutizzazione della dispnea con presenza di rantoli grossolani, evidenti all’auscultazione respiratoria.

Il 5 ottobre la situazione si aggrava.

Il 6 ottobre il quadro clinico si aggrava ulteriormente (alle ore 15,30, si ha peggioramento delle condizioni respiratore; alle ore 21, paziente desaturato).

Il 7 ottobre il quadro clinico precipita (come risulta dal diario clinico, inequivocabile) fino al decesso che avviene l’8 ottobre.

Quanto al profilo del trattamento palliativo, nel diario clinico e nel diario infermieristico non compaiono, fino al 6 ottobre, tracce di una terapia palliativa delle gravissime condizioni del paziente (pur con la considerazione che il comportamento dei sanitari, fino a tutto il 5 ottobre, sia da ritenersi corretto); in peculiare riferimento ai giorni del 7 ed 8 ottobre, cioè nei due ultimi giorni di vita, il supporto appare alquanto inadeguato e insufficiente.

Infatti, preso atto delle raccomandazioni della SICP (Società Italiana Cure Palliative) e della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia intensiva), nonché preso atto della conformità alle indicazioni della letteratura internazionale, il Tribunale assume, dal CTU, le seguenti criticità emerse nelle cure palliative: per quanto riguarda i dosaggi utilizzati per gli oppioidi, la morfina è stata somministrata in dosaggi troppo bassi, mentre, per quanto riguarda il tipo di sedativo scelto (nel caso di specie, il …Diazepam) a prescindere dal fatto che in letteratura scientifica il farmaco di prima scelta è identificato nel Midazolam, il farmaco utilizzato avrebbe dovuto essere utilizzato in dosi più elevate e, comunque, tale farmaco avrebbe dovuto essere cambiato, una volta constatato che non aveva gli effetti desiderati.

Quindi, a seguito delle ulteriori valutazioni del CTU, il Tribunale assume le conclusioni secondo cui nelle cure prestate al Signor ***, si ravvisa una condotta inadeguata e insufficiente, segnatamente per quanto riguarda la terapia palliativa negli ultimi due giorni di vita; sussiste dunque una correlazione causale tra la condotta inadeguata e insufficiente e la sofferenza patita dal paziente.

Infine, per quanto riguarda i danni richiesti iure proprio, è accertato, a seguito di altra CTU, il solo danno biologico subìto dalla Signora ***, vedova del paziente, la quale presenta un Disturbo dell’Adattamento con Umore Depresso di tipo Cronico qualificabile di grado “moderato”. Questo disturbo deriva dal concorso tra l’evento di lutto esente da responsabilità e le inadempienze dei sanitari che hanno avuto in cura il marito della Signora *** nelle sue ultime 48 ore di vita. Questo disturbo comporta il riconoscimento di un danno biologico di natura psichica nella misura complessiva del 6/7 %, di cui la quota parte riconducibile alle inadempienze dei sanitari è quantificabile nella misura del 2/3% (misure che, successivamente, in sentenza, sono precisate, rispettivamente, in 6,5% nonché in2,5%).

In diritto. Il Tribunale, si è attenuto alle seguenti determinazioni.

Il danno in questione (ricadente sotto l’impero della Legge Balduzzi) resta di natura contrattuale, poiché non è da ritenere che la Legge Balduzzi, sul punto, abbia innovato.

Il danno al paziente non deve essere qualificato come danno biologico in senso stretto, ma deve essere qualificato come danno morale conseguente alla sofferenza ingiusta patita nella fase terminale della vita.

In conseguenza di tale qualificazione, in sede di liquidazione del danno (per quanto riguarda il danno che risulta patito dal Signor *** e che risulta proiettabile iure hereditatis) non può farsi riferimento alle tabelle di legge di cui all’art. 139 Cod. Ass., le quali tabelle prevedono la liquidazione del danno biologico, ma deve farsi riferimento alle Tabelle di Milano 2016 per il danno terminale, in quanto più idonee al rappresentare la lesione subita dal Signor ***; e queste ultime tabelle prevedono che, fino al terzo giorno di sopravvivenza, per il danno non patrimoniale terminale può essere liquidata la somma massima di euro 30.000.

Pronunce di risarcimento. Il risarcimento del danno morale, chiesto dai congiunti iure hereditatis, è stato determinato in euro 20.000. Il risarcimento del danno biologico, patito dalla Signora *** e chiesto iure proprio, è stato determinato in euro 4.779,06.

Commento. Questa sentenza, sotto molti profili, è di notevole interesse sia per l’inquadramento scientifico del caso, illustrato e documento con ampiezza di riferimenti giuridici e giurisprudenziali, sia per le citazioni di linee guide e buone pratiche.

Potrebbe essere discutibile il riferimento, in questo caso, al “danno morale terminale”: danno che alcuni, in senso proprio, intendono sia da ravvisare (non nelle sofferenze derivanti dalla malattia nella fase terminale, bensì) nella sofferenza, indotta nella vittima dell’illecito, per la percezione dell’ineluttabile approssimarsi della fine della vita.

È comunque opportuno, per il notevole interesse, richiamare l’attenzione sul danno biologico (subito dalla Signora ***): danno complessivo corrispondente a 6,5% punti di invalidità, cagionato dal concorso tra lutto esente da responsabilità (nella misura del 4%) e quota riconducibile alle inadempienze dei sanitari (nella misura 2.5%). Questi due ultimi valori sono però intesi come riguardanti le misure del concorso; altra cosa, invece, è la quantificazione dei danni e, in particolare, del danno biologico differenziale. Orbene, per la quantificazione economica del danno biologico differenziale, il Tribunale qualifica scorretta la procedura a) e qualifica corretta la procedura b):

  • procedura a) qualificata scorretta: ritenere che, poiché il concorso dei sanitari è del 2,5%, occorra quantificare il danno, inflitto dai sanitari, rapportandolo a 2,5% di punti di invalidità;
  • procedura b), qualificata corretta: dapprima quantificare il danno relativo a 6,5 punti di invalidità (nel caso, euro 6779,23); poi, quantificare il danno relativo al fattore incolpevole, cioè 4 punti di invalidità (nel caso, 3000,17); sottrarre, dalla prima quantificazione, la seconda (ottenendo, nel caso, 4779,06).

La ratio è in questi termini: la condotta colpevole dei sanitari (secondo il ragionamento del Tribunale di Bologna e sulla base di autorevoli precedenti) non ha determinato una invalidità da 0 a 2,5%; ma ha determinato un incremento di invalidità dal 4% al 6,5%; e il valore numerario dei punti di invalidità aumenta in maniera esponenziale rispetto all’aumentare dell’invalidità.