Il fatto. Un medico radiologo, refertando i radiogrammi della TAC effettuata su un paziente, omette di segnalare la presenza di un’area osteolitica nel peduncolo destro di C6. Da tale omessa refertazione consegue la mancata predisposizione di approfondimenti diagnostici per il necessario intervento chirurgico di asportazione dell’area osteolitica (identificata, successivamente, in un osteoblastoma). Ne derivano, per il paziente, l’aggravamento della malattia e l’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore a 40 giorni.

Il Primo grado. Il Tribunale, ritenendo il medico radiologo colpevole del reato di cui all’art. 590 c.p. (Lesioni personali colpose), lo condanna alla pena di due mesi di reclusione, al pagamento delle spese processuali e al risarcimento dei danni in favore della parte civile. 

Il Secondo grado. La Corte d’Appello riforma la sentenza del Tribunale, assolvendo il medico radiologo. Secondo i giudici – che considerano ‘malattia’ la mera alterazione anatomica cagionata al paziente – nel caso di specie, “non essendovi stato alcun aggravamento della malattia a causa dell’omessa diagnosi, deve escludersi che vi sia stata una lesione”.

La Corte di Cassazione. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, la decisione della Corte d’Appello è censurabile laddove ha motivato utilizzando una nozione di ‘malattia’ riferita alla mera alterazione anatomica cagionata al paziente, senza considerare le limitazioni funzionali derivanti da tale alterazione. Come sottolinea la Corte di Cassazione, “il concetto di malattia ha diviso per decenni dottrina e giurisprudenza perché, a fronte di una nozione incentrata esclusivamente sulla mera alterazione anatomica, si è prospettata, in particolare dalla dottrina, una concezione diversa che fa riferimento alla necessità che a questa alterazione (che peraltro può anche mancare) si accompagnino limitazioni funzionali”. Secondo la giurisprudenza più recente, la ‘malattia giuridicamente rilevante’ comprende necessariamente anche quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico o una compromissione, anche non definitiva ma significativa, di funzioni dell’organismo. Secondo la Corte di Cassazione, appare dunque chiaro come, nel caso di specie, la Corte d’Appello non abbia fatto corretta applicazione del concetto di ‘malattia’ come interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità. La Corte di Cassazione, perciò, cassa con rinvio la sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte d’Appello.