Il fatto. Tizio, medico di continuità assistenziale, interviene presso l’abitazione di Caio. Avendo rilevato una sintomatologia di “dolore toracico retrosternale con irradiazione al braccio bilateralmente”, diagnostica, erroneamente, una patologia gastrica. Tizio, perciò, non dispone l’immediato ricovero di Caio, il quale decede poche ore dopo a causa di una sindrome coronarica acuta. 

Le norme.

Art. 589 c.p., Omicidio colposo: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito…”.

Art. 3 comma 1 della Legge n. 189/2012 [cd. Legge Balduzzi]: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve…”. 

Il Primo grado. Tizio, in sede di giudizio abbreviato, viene assolto dal delitto di omicidio colposo, per irrilevanza dell’elemento soggettivo della colpa lieve, avendo l’imputato fatto affidamento su una diagnosi formulata pochi giorni prima sul paziente durante un ricovero in ospedale con analoga sintomatologia, la quale aveva portato a una diagnosi di sospetta colica addominale. 

Il Secondo grado. La sentenza di secondo grado riforma la sentenza di primo grado, censurando l’approccio metodologico che aveva posto in correlazione la condotta dell’imputato con quella tenuta dai medici del pronto soccorso alcuni giorni prima: il medico di continuità assistenziale era tenuto a svolgere una autonoma valutazione in base alla sintomatologia che presentava il paziente e che ben poteva indicare la sussistenza di una patologia cardiaca. 

La Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45527/2015, cassa la sentenza di secondo grado, evidenziando come “le osservazioni della Corte di merito appaiono manifestamente illogiche laddove fondano la ritenuta colpevolezza dell’imputato sulla errata diagnosi dovuta ad imperizia nella autonoma valutazione della sintomatologia che presentava il paziente, senza però tener conto che il processo diagnostico parte da un’attività di anamnesi che comprende anche la conoscenza della storia clinica del paziente e, quindi, le precedenti terapie e ricoveri a cui è stato sottoposto”. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice di primo grado aveva effettuato una corretta valutazione della incidenza della diagnosi dei medici del pronto soccorso sulla diagnosi effettuata dal medico di continuità assistenziale, il quale aveva prestato, seguendo tale diagnosi, osservanza alle linee guida accreditate dalla comunità scientifica.