Il fatto. In occasione nonché a seguito del parto – avvenuto, presso la casa di cura di una fondazione sanitaria, con l’assistenza di due medici (il primo dei quali aveva, altresì, seguìto la gravidanza, e il secondo dei quali aveva eseguito l’intervento – veniva prospettato che il minore e la madre avrebbero subìto danni alla persona (il minore, lesione del plesso brachiale sinistro; la madre, cistorettocele con modico prolasso uterino e incontinenza urinaria da sforzo). Il fatto dannoso era individuato nel fatto che, essendosi verificata distocia di spalla durante il travaglio, i sanitari non ne avrebbero effettuata la rilevazione e, per ciò, avrebbero omesso le manovre correttive necessarie alla espulsione del feto (cosiddetta Manovra di Mc Roberts, o altra di equivalente efficacia). La prova, della mancata rilevazione della distocia e delle omesse manovre correttive, veniva asserita ricavabile dalla mancata menzione, in cartella clinica, sia della distocia sia delle manovre. In conseguenza, i genitori del minore, in proprio e in rappresentanza del figlio, chiedevano, alla casa di cura e ai due medici, il risarcimento dei danni subìti.

Il primo grado. Il Tribunale ha respinto la domanda di risarcimento. Il Tribunale ha ritenuto che la mancata menzione, in cartella clinica, sia della distocia di spalla sia della manovra correttiva, non potesse risultare decisiva quale presunzione circa la mancata rilevazione della distocia e circa la mancata effettuazione della manovra (“l’omissione, nella cartella clinica, non si traduce immediatamente nella certezza del non compimento dell’attività”). Ed ha ritenuto che, per contro, la deposizione testimoniale dell’ostetrica era adeguata a ritenere che i sanitari avevano effettuato la rilevazione e si erano adoperati nella manovra.

Il secondo grado. La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato la clinica e i sanitari al risarcimento dei danni. In particolare, ha ritenuto che “la mancata indicazione, nella cartella ostetrica, della distocia e delle manovre, costituisce, quanto meno, un indizio grave che la distocia non sia stata rilevata e non sia stata affrontata al momento del parto.” Ciò tanto più – argomenta la Corte – ove si consideri che nella stessa cartella clinica non sono mancate ulteriori e dettagliate informazioni sulle difficoltà del parto, a causa dell’angustia vulvovaginale e dell’inerzia espulsiva (annotate nella diagnosi definitiva) e per la necessità del ricorso a uno strumento (la ventosa ostetrica) occorrente per ottenere l’estrazione del feto dall’organismo materno, e sulle terapie adottate per ovviare alla lacerazione del collo dell’utero (trachelorrafia). Cosicché, l’annotazione nella cartella ostetrica di situazioni di difficoltà del parto, di specifici rimedi inerenti all’estrazione del feto e delle operazioni eseguite per suturare le lacerazioni subite dalla partoriente, avrebbe reso oltremodo significativa, sul piano probatorio, la mancata annotazione della distocia della spalla sinistra e della manovra. Quindi, di fronte a tali considerazioni, la Corte ha ritenuto che la grave presunzione negativa non poteva considerarsi superata dall’unica testimonianza acquisita, e ritenuta non sufficientemente attendibile poiché la teste avrebbe riferito con estrema precisione un accadimento di circa undici anni prima, sebbene non vi fossero ragioni plausibili perché esso dovesse imprimersi in modo così netto nella sua memoria, essendosi trattato invece di un evento tipico della sua esperienza professionale

La Corte d’Appello si è poi soffermata puntualmente in tema di principio di causalità. In proposito, il giudice non si è avvalso della presunzione (che pur circola in giurisprudenza) secondo cui le carenze della cartella clinica possono costituire il presupposto perché scatti la prova presuntiva anche del nesso causale a sfavore del medico; ma ha argomentato nel senso che, secondo la letteratura specialistica, e secondo quanto è desumibile dalla stragrande maggioranza dei casi, l’effettuazione della manovra avrebbe incrementato, in maniera significativa, la probabilità di evitare la conseguenza lesiva. La Corte argomenta che la manovra omessa, se effettuata, avrebbe, secondo un criterio di consistente probabilità statistica (riassunto nell’espressione, entrata nell’uso comune della pratica legale, del “più probabile che non”) evitato la patologia sofferta, la quale, come da informazione resa dalla C:T:U, si riduce al venti per cento circa.

Commento. L’antico e terribile principio, secondo cui quod non est in actis non est in mundo, ormai da tempo sta facendo la sua strada anche in materia di documentazione clinica: solo presunzioni forti, o prove di altra natura ma parimenti forti, riescono a ribaltare la presunzione di inesistenza di condotte omesse in cartella. In tal senso, la giurisprudenza formula frequentemente una giustificazione tecnica e deontologia facendo riferimento al principio della cosiddetta “vicinanza alla prova”: chi ha il controllo del materiale probatorio, perché è lui stesso che lo produce, sconta questo “posizione favorevole” (favorevole ma fino a un certo punto) con un onere di trasparenza e completezza (le cui carenze vanno a suo danno). Comunque, nel caso, la Corte d’appello non si è limitata a constatare, in cartella, l’assenza di menzione per poi qualificarla come indizio grave; ma ha ritenuto che il ragionamento presuntivo andasse rafforzato (e ha ravvisato tale rafforzamento nella constatazione che la cartella, nel caso, era così estesamente dettagliata e precisa da rendere improbabile una omissione così significativa).

Appare nel solco di una solida tradizione anche il discorso della Corte di Appello in tema di nesso causale, discorso che però, oggi, sta subendo una evoluzione giurisprudenziale non sempre condivisibile laddove il rilievo della mancata menzione in cartella viene trasferito a livello di nesso causale. Trasferimento che invero è discutibile per la seguente ragione: un conto è dire che “l’attività del medico, se non è menzionata in cartella, può presumersi non avvenuta”, altro conto è dire che l’attività del medico “presunta non avvenuta in quanto non menzionata in cartella” possa far scattare una presunzione anche a livello di nesso causale. Questo passaggio ulteriore, proprio perché variamente reperibile e modulato in giurisprudenza, va soppesato per i suoi pericoli di generalizzazione: infatti, è molto delicato introdurre ulteriori varianti in tema di nesso causalità, varianti che incrementano vieppiù estensivamente la sfera delle responsabilità civile, con tutti i contraccolpi che ormai sono noti.