Una disputa antica sui “preamboli” delle leggi

Da oltre due millenni si discute se le leggi debbano limitarsi a comandare, oppure debbano, altresì, lanciare messaggi valoriali, idonei a raccogliere consenso sulle ragioni della norma.

Ovviamente, una visione autoritativa rifugge da esordi di tal natura, ritenendoli retorici e persino umilianti per il potere normativo. Altrettanto ovvio, d’altro lato, che una sensibilità democratica preferisca avvalersi di formulazioni persuasorie, idonee ad avvalorare le norme presentandole come tecnicamente strumentali a finalità apprezzabili e condivisibili.

Da qualche decennio, le leggi (quelle statali, e soprattutto quelle reginali) formulano uno o più articoli dedicati a illustrare fini e valori; e ciò accade, talvolta, persino oltre i limiti della ragionevolezza, perché questa strategia di comunicazione finisce per esondare, prospettando scenari utopici e ideologici che non sempre sono in rapporto tecnico con le delineazioni normativi.

Proprio per questo, si verifica non di rado che i lettori tecnici si limitano a scorrere superficialmente gli articoli introduttivi, e vanno oltre sino a quando incontrano la concretezza di precetti e sanzioni (che, da sempre, sono la sostanza profonda del diritto e delle formulazioni giuridiche).

Che dire, nello specifico, circa il primo articolo della legge Gelli?

Il primo articolo della legge Gelli Bianco: un esordio di sostanza

Diversamente da altri provvedimenti normativi, l’esordio della legge Gelli Bianco merita attenzione sostanziale: segna e impone il passaggio dalla “sicurezza del malato” alla “sicurezza delle cure”; conseguentemente, segna e impone il passaggio dalla percezione e gestione del rischio clinico alla percezione e gestione del rischio sanitario.

Si dirà che questi concetti sono presenti, da tempo, in letteratura medica e in documenti internazionali; è pur vero, ma, con la legge in questione, il mutamento di sensibilità entra a far parte dell’ordinamento giuridico e costituisce vincolo normativo per tutta una serie di ambiti e di condotte attuative.

Si dirà, inoltre, che la legge Gelli è di rilievo per ben altri profili, che vanno dal regime delle linee guida alle modifiche in tema di responsabilità del personale sanitario; si dirà, nel contempo, che tali altri profili possono anche suscitare perplessità e meritare discussioni (si pensi, ad esempio, che il sistema delle linee guida è sottratto alla libertà del sapere scientifico per essere sottoposto a controllo ministeriale; si pensi, nel contempo, che la rimodellazione della responsabilità penale  è più apparente che effettiva); tutto ciò è da considerare, così come vanno considerati altri limiti del provvedimento normativo,  ma, dal punto di vista delle prospettive di respiro, il riferimento alla sicurezza delle cure (nella misura in cui oggi si estende e va estesa, e che va oltre ogni interpretazione letterale) è un punto di consistente rilievo.

Sicurezza delle cure e gestione del rischio

La sicurezza delle cure non si limita a riguardare la persona del malato, ma segna l’irrompere dell’etica personalistica nell’intero universo del settore sanitario, includendo la sicurezza di chi vi lavora (a vario titolo) nonché la sicurezza di chi, per ragioni istituzionali, venga a contatto con le strutture sanitarie.

L’estensione è notevole, e l’articolo 1 della legge ne evidenzia l’ampiezza ben al di là di quanto continuano a prospettare numerosi commentatori pur recenti, i quali sembrano non avere inteso il mutamento, cosicché persistono nel parlare di sicurezza del paziente e di rischio clinico (restando quindi ancorati a un’ottica regressiva).

L’estensione del mutamento concettuale (e normativo), è sottolineata, altresì, nel terzo comma del medesimo art. 1, ove la sicurezza delle cure è posta a carico di tutto il personale, il quale è tenuto a concorrere alla prevenzione del rischio in tutte le strutture e a prescindere dal tipo di rapporto giuridico (“strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private”; “tutto il personale compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione”).

Una rivoluzione di sensibilità, di cultura, di strumenti tecnici e organizzativi e giuridici

L’obiettivo della sicurezza in materia di cure, e il conseguente estendersi della percezione e della gestione del rischio, impongono doveri e impegni specifici.

Non mancheranno, ovviamente, soggetti orientati a fronteggiare il problema minimizzandolo ed eludendolo: e cioè cercando di creare, magari in strutture anche importanti, un ufficetto con qualche grida manzoniana e con qualche scartoffia (da esibire all’occorrenza). Ma le finzioni non saranno sufficienti a sostituire gli adempimenti; e non saranno sufficienti, a parte i profili qualitativi del servizio,  né in sede di controlli amministrativi né  in sede di giurisdizione penale o civile o contabile (nelle quali sedi  sarà rilevante valutare che cosa è stato fatto concretamente per prevedere e governare il rischio: rischio da percepirsi in senso ampio, sia in riferimento a casi di eventi avversi effettivamente accaduti, sia in riferimento ai cosiddetti “quasi eventi”, la cui rilevazione sarà preziosa per evitare che il ripetersi di “quasi eventi” dia poi luogo ad “eventi” in senso proprio).

Per fortuna, d’altro lato, già oggi non mancano, e sono numerosi, coloro che percepiscono l’innovazione normativa come uno stimolo forte, e ineludibile, per un salto di qualità nel settore sanitario in tutte le sue articolazioni.

Insomma: una occasione preziosa: da non sottovalutare e, soprattutto, da non perdere.

Evoluzione di civiltà, “etica personalistica” e “valore sicurezza”

Come considerazione finale merita sottolineare che la percezione della “sicurezza”, tra i valori e gli obiettivi primari, è un fenomeno che, ben lungi dall’irrompere all’improvviso nel mondo della sanità, giunge da lontano e trova il suo “momento di emersione” nelle caratteristiche attuali della nostra civiltà.

In fasi anteriori, in cui lo scenario di civiltà è dominato il ruolo primario dell’homo faber, la pulsione del produrre è dominante, e, tra i fattori del produrre, il “costo umano” viene accettato come ineludibile e normale. Domanda: si sarebbero potute costruire le grandi opere dell’antichità, o anche meravigliosi artefatti più recenti (come, ad esempio, il duomo di Milano, o importanti grattacieli di metropoli) applicando con rigore una 626 o cautele equivalenti? Evidentemente no.

Invece, da quando il cammino delle specie, in determinate civiltà, raggiunge e supera alcuni standard produttivi e di livello di vita e di cultura, la morte e le sofferenze degli uomini cessano di apparire un costo normale ed accettabile. Si diffonde quindi una sensibilità e un’etica personalistica, che valorizzano la vita e il benessere delle persone.

Si tratta, per un verso, di una percezione che ha una sua gradualità: si consideri, infatti, che grandi opere non remote, come le centrali nucleali, fino a quale anno fa, venivano costruite senza adeguato pensiero e senza adeguate tecniche di prevenzione e gestione dell’eventuale disastro (disastro che, in qualche caso, è poi stato “evento avverso”). Tale percezione, comunque, è ormai estesa e potente.

Ricollocando, in tale scenario, il riferimento alla ‘sicurezza delle cure’, si usa forse una espressione non ancora soddisfacente, ma il significato e il messaggio sono chiari: in sanità, come in molti altri settori del produrre e del fare, una crescente “valorizzazione olisticamente personalistica” è un obiettivo importante, condivisibile, concreto.