Nell’ambito di una crescente attenzione su una serie di temi, tra loro collegati, che vanno dal diritto alla salute alla sicurezza delle cure, dal miglioramento del sistema-sanità al travagliato regime delle responsabilità professionali, il tema dell’errore in campo medico ha catalizzato crescente attenzione sia in sede mediatica sia in sede giuridica (e, soprattutto, giurisprudenziale).

È quindi opportuno un richiamo d’attenzione, a partire dal profilo concettuale.

 

Le nozioni di errore.

Da tempo immemorabile il sapere comune ha elaborato una nozione di errore che è poi stata accolta nel sapere giuridico (in diritto privato, penale, amministrativo).

Per ‘errore’ si intende, anzitutto, una conoscenza falsa: se, alle ore 11, Tizio crede che sia mezzogiorno, questa sua conoscenza costituisce “errore”. Per ‘errore’ si intende, altresì, una condotta con risultato improprio (una condotta che viene posta in essere per un determinato fine, ma, essendo tecnicamente inadeguata per tale fine, non produce alcun risultato o produce un risultato diverso da quello programmato): se Tizio, volendo correggere l’ora indicata dal proprio orologio, ne forza la corona premendola verso la cassa (anziché tirarla verso l’esterno) compie un “errore”. Per meglio sottolineare le due nozioni, è possibile parlare di errore gnoseologico nel primo caso, e di errore tecnico (oppure errore di esecuzione) nel secondo caso.

Ovvio che le due nozioni possono essere collegate e che, nel concreto, l’errore gnoseologico possa essere fattore causale dell’errore tecnico: infatti si consideri che, quando Tizio forza la corona dell’orologio spingendola verso la cassa, l’errore tecnico può dipendere dal credere, erroneamente, che la corona diventi operativa spingendola verso la cassa. Tale rapporto (in cui l’errore gnoseologico è alla fonte dell’errore tecnico) non è, tuttavia, concettualmente necessario: un soggetto, quand’anche conosca benissimo le posizioni operative della corona, può compiere quel gesto sbagliato magari per semplice distrazione (sta pensando ad altro), oppure può compierlo in mera sede di condotta maldestra (e allora, in casi di tal natura, l’errore gestuale non ha radici in un errore gnoseologico).

 

L’errore in campo medico e, specificamente, nella prescrizione del farmaco

L’errore, in campo medico, si presenta nella tipologia già consolidata nel sapere comune.

Un caso tipico di errore gnoseologico, in campo medico, è l’errore diagnostico: il refertante, in presenza della patologia A, non ravvisa alcuna patologia oppure ravvisa la patologia B. Se, invece, il chirurgo, nel corso di un intervento di ptosi del sopracciglio (lifting), per distrazione o per forza eccessiva applicata allo strumento, lede il nervo sovraorbitario (cagionando ipoestesia tattile nella zona frontale sovrastante, ma questo è profilo ulteriore) si tratta di un errore di esecuzione.

In campo medico viene in particolare evidenza il nesso tra errore gnoseologico ed errore tecnico: infatti una diagnosi errata può determinare una prescrizione errata (così come può determinare una manovra errata). Tuttavia, l’errore di esecuzione (in una estrazione dentaria, in una manovra in assistenza al parto, in una incisione chirurgica, ecc.) può verificarsi anche in assenza di un preesistente o concomitante errore gnoseologico.

Nello specifico, l’errore nella prescrizione del farmaco è verosimile che abbia a monte, prevalentemente, un errore di natura gnoseologica: infatti, la prescrizione può essere errata (farmaco inutile o dannoso) in conseguenza ad un errore diagnostico; oppure, la prescrizione può essere errata perché si ritiene, erroneamente, che il farmaco alfa sia idoneo a fronteggiare la patologia A. Per altro verso, neppure può escludersi che, alle radici do un errore gnoseologico (circa l’efficacia di un farmaco), stia a monte un errore tecnico, in quanto, per frettolosità o incapacità, il medico non abbia eseguito correttamente l’anamnesi o abbia omesso investigazioni o ricerche tecnicamente necessarie o quantomeno opportune (sul paziente in concreto, oppure in letteratura).

 

Errore, negligenza e imperizia nel mondo del diritto

Si noti che, ai fini della disciplina privatistica degli atti giuridici, l’errore è specificamente menzionato in sede normativa; invece, a fini risarcitori, l’errore non è menzionato, e rileva in maniera indiretta attraverso le nozioni di negligenza oppure di imperizia. In concreto: se Tizio ha commesso un errore (come la prescrizione di un farmaco inefficace), e se ciò risulta riconducibile a negligenza o imperizia, in tal caso l’errore è giuridicamente rilevante e sanzionabile (in sede civile e/o penale, è da vedersi).

La negligenza e l’imperizia, sono, da sempre, due elementi fondamentali della “rimproverabilità” e, quindi, della responsabilità): la negligenza è la mancanza di quelle cautele che (nel caso) ogni professionista normalmente serio deve avere a cuore; la imperizia è la mancanza di quelle conoscenze e abilità che (nel caso) devono appartenere alla dotazione di ogni professionista normalmente serio.

Ovviamente, in molti casi si verserà in zona d’ombra, cosicché non sarà facile decidere se una prescrizione errata sia riconducibile, o meno, a negligenza oppure ad imperizia (o, persino, ad entrambe); ma, in caso di controversia, il giudice dovrà pur sempre decidere (e lo farà, verosimilmente, in base alle indicazioni dei periti).

 

“Approprietezza/inapropriatezza” nella prescrizione del farmaco: una tappa significativa in un travagliato percorso evolutivo

Oggi è sempre più diffusa la nozione di approprietezza. Nella legge Gelli, per esempio, si parla di uso appropriato delle risorse; e nella legge sul consenso informato (art. 2 della legge numero 12 del 16 gennaio 2018) sta scritto che il medico deve avvalersi di mezzi appropriati allo stato del paziente. Di appropriatezza, del resto, si parla ormai da tempo nelle decisioni giurisprudenziali in tema di responsabilità.

Quale il rapporto tra errore e inappropriatezza?  Da un lato si potrà continuare a ritenere che la inappropriatezza sarà da valutare, ai fini risarcitori, attraverso la tradizionale nozione dell’errore. Quindi: se l’inappropriatezza implica un errore (gnoseologico o di esecuzione) e se questo errore è riconducibile a negligenza o imperizia, ne deriverà responsabilità in caso di danno ingiusto. Tuttavia, è verosimile che la nozione di inapproprietezza soppianterà gradualmente la nozione dell’errore, cosicché quest’ultima, soprattutto nel campo della responsabilità medica (tranne una sfera ristretta di casi clamorosi) verrà tendenzialmente emarginata.

Sulla base di considerazioni non superficiali è formulabile la previsione che, d’ora innanzi, si parlerà sempre meno di prescrizione errata, e si parlerà sempre più di prescrizione inappropriata. E c’è da espettarsi che la nozione di “inappropriatezza” verrà modellata (dalla giurisprudenza) in un senso ben più ampio rispetto alla nozione, classica, di “errore” (una prescrizione infatti, potrà essere ritenuta “non errata”, tuttavia di efficacia non ottimale per il caso concreto, e, quindi, “non appropriata”). In definitiva, è possibile che la nozione di inappropriatezza andrà a costituire una tappa ulteriore di quel cammino che, venendo da lontano, è orientato a incrementare i diritti della persona (e a rafforzare, di riflesso, le aspettative risarcitorie): una tappa destinata a costituire un nuovo terreno di sfida, culturale e ideologico e giuridico, nel difficile e dinamico equilibrio tra diritti della persona e tutela delle professioni.