Il fatto. In seguito ad una perquisizione effettuata dai Carabinieri del NAS, nei cassetti di un ambulatorio odontoiatrico, di chirurgia estetica e di chirurgia maxillo-facciale vengono rinvenute 20 fiale di carbocaina scadute.

Il primo grado. Il Tribunale condanna il responsabile dell’ambulatorio per il reato di cui all’art. 443 del codice penale (Commercio o somministrazione di medicinali guasti), per la detenzione di farmaci guasti o imperfetti perché scaduti di validità. Il Tribunale condanna altresì l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Il secondo grado. La Corte d’Appello conferma la sentenza di primo grado.

La Corte di Cassazione. Il responsabile dell’ambulatorio deduce, nella motivazione della Corte d’Appello, un vizio di motivazione per avere i Giudici ritenuto che il reato si fosse realizzato tramite la semplice detenzione dei farmaci scaduti, senza la prova che il medicinale in questione dovesse essere utilizzato (essendo le scatole riposte in un cassetto sigillate).

I Giudici della Corte di Cassazione, tuttavia, sottolineano come “La detenzione per il commercio può sussistere anche se manchi la vendita o anche la esposizione in vendita, bastando la conservazione della cosa destinata al commercio in qualsiasi luogo, che valga a generare il convincimento che si tratti in realtà di detenzione per il commercio”.

Richiamando la “Relazione al Re” del Codice Penale, la Corte evidenzia che “Pone in commercio chi in qualsiasi modo idoneo offre al pubblico, direttamente o a mezzo di altri, le cose delle quali si tratta”, sottolineando altresì come la detenzione di medicinali per il commercio e la detenzione per la somministrazione non costituiscano situazioni differenti, “perché entrambe funzionali e dirette all’uso effettivo del farmaco”.

Nel caso in esame, motivano i Giudici, “Mancano elementi che potessero giustificare la detenzione [dei farmaci] per un fine diverso dalla somministrazione”.

La Corte di Cassazione rigetta perciò il ricorso del responsabile dell’ambulatorio e – essendo il reato ascritto all’imputato ormai estinto per prescrizione – conferma la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.