Una sentenza recente della Corte dei conti: Sez. Giur. Campania, 860/2018

 

Una recente e interessante sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, ha offerto un contributo rilevante nel consolidare l’orientamento giurisprudenziale che modella il non facile rapporto tra il vincolo della appropriatezza prescrittiva e la salvaguardia della discrezionalità professionale del medico.

 

Fatto prospettato.

La Procura regionale della Corte dei Conti aveva prospettato che cinque medici generali dell’ASL di xxx avrebbero prescritto farmaci, a carico del Servizio Sanitario, in violazione della relativa indicazione terapeutica e, quindi, in violazione della appropriatezza prescrittiva. Le condotte oggetto di contestazione riguardavano, in particolare, casi nei quali i medici, in assenza di una adeguata motivazione clinico-scientifica, avrebbero prescritto direttamente farmaci di seconda linea – comportanti un maggior costo a carico del servizio sanitario rispetto alle alternative terapeutiche disponibili – a pazienti trattati per la prima volta (C.d. “pazienti naive”).

Secondo la Procura regionale, il danno pubblico complessivamente arrecato all’ASL, per effetto di prescrizioni mediche effettuate tra l’anno 2009 e l’anno 2014, era da individuare (con prima contestazione, in euro 144.204,52, e poi, con successiva rettifica) nella misura di euro 20.420,58 (oltre a rivalutazione monetaria e interessi) così ripartiti: per il medico A,  euro  2.147,55; per il medico B, euro 6.676.00; per il medico C, euro 3.897,76; per il medico D, euro 4987,98; per il medico E, euro 2.711,29.

La Procura regionale, con l’atto di citazione, aveva attivato il procedimento monitorio e aveva espresso parere favorevole sulla determinazione effettuata, con decreto, dal Presidente della Sezione. Gli importi della pretesa risarcitoria venivano quindi rideterminati, rispettivamente, nelle seguenti misure: euro 4600,00; euro 2.700,00; euro 1500,00; euro 3.450,00; euro 1850,00.

Decisione

La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale, ha ritenuto che “affinché il medico possa assistere il paziente al meglio delle sue capacità professionali, deve essere riconosciuto un margine di discrezionalità nella gestione della discrepanza che si può talora verificare fra le condizioni cliniche, la tollerabilità ai trattamenti e le potenziali interazioni farmacologiche secondo le caratteristiche del singolo paziente. Conseguentemente, non è illegittimo prescrivere farmaci anche in deroga apparente alle disposizioni vigenti, nei limiti della logica, della ragionevolezza e dei basilari approdi della letteratura scientifica. La formale violazione di norme di legge, di contratti collettivi, di standard numerici o di medie statistiche, ancorché ragionevolmente ponderate e pesate, sebbene comporti un esborso per le casse pubbliche, non comprova automaticamente la responsabilità amministrativo-contabile di un medico di base, pur costituendo detta violazione un indice sintomatico di possibile illeceità comportamentale, dovendosi acclarare, da un lato, se la scelta discrezionale effettuata in sede di prescrizione risulti una insindacabile valutazione di merito e se, dall’altro, tale scelta, ove irragionevole, sia affetta da colpa grave. Ciò va accertato in concreto e atomisticamente verificando le singole prescrizioni inconferenti o sovrabbondanti per la cura, alla luce dei noti parametri per l’individuazione dell’illecito amministrativo-contabile”.  In conclusione, “considerato che è a carico del Requirente l’onere di provare il mancato rispetto delle indicazioni terapeutiche, non è sufficiente, per il riconoscimento della responsabilità amministrativa, la mera dimostrazione della presenza di un rilevante scostamento statistico

rispetto alla media generale delle prescrizioni…  L’esistenza e la quantificazione del danno non possono essere valutati sulla base del mero scostamento dalla media prescrittiva ma solo con una adeguata analisi delle singole prescrizioni effettuate in rapporto alle patologie da curare. Lo scostamento dalla media prescrittiva costituisce, dunque, solo un indice sintomatico di possibile illeceità comportamentale e non la prova di un danno erariale”.

Commento

La  Corte dei Conti nel solco della Corte Costituzionale. La Corte dei conti si è avvalsa di un approccio di bilanciamento: il vincolo della appropriatezza (sostenuto da saldi fondamenti di pubblico interesse) deve essere posto in rapporto con la discrezionalità tecnico-scientifica del medico (discrezionalità parimenti sostenuta da fondamenti altrettanto saldi di pubblico interessi). Ciò, del resto, è in piena sintonia con decisioni della Corte costituzionale tra cui, per tutte, la sentenza n. 169 del 2017 ove recita che: “l’appropriatezza prescrittiva prevista dall’art. 9-quater, comma 1, del d.l. n. 78 del 2015 ed i parametri contenuti nel decreto ministeriale devono essere intesi come un invito al medico prescrittore di rendere trasparente, ragionevole ed informata la consentita facoltà di discostarsi dalle indicazioni del decreto ministeriale. In tale accezione ermeneutica devono essere intese anche le disposizioni in tema di controlli di conformità alle indicazioni del decreto ministeriale: esse non possono assolutamente conculcare il libero esercizio della professione medica, ma costituiscono un semplice invito a motivare scostamenti rilevanti dai protocolli. E’ costante orientamento di questa Corte che scelte legislative dirette a limitare o vietare il ricorso a determinate terapie – la cui adozione ricade in linea di principio nell’ambito dell’autonomia e della responsabilità dei medici, tenuti ad operare col consenso informato del paziente e basandosi sullo stato delle conoscenze tecnico-scientifiche a disposizione – non sono ammissibili ove nascano da pure valutazioni di discrezionalità politica, e non prevedano l’elaborazione di indirizzi fondati sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite tramite istituzioni e organismi – di norma nazionali o sovranazionali – a ciò deputati”.  

Dettagli interessanti. Tornando alla sentenza della Corte dei conti, vi si leggono alcune precisazioni che, pur di valenza meno “alta” rispetto alla tematica del bilanciamento dei valori, sono di notevole rilievo sul terreno concreto delle vicende processuali. Si consideri, in particolare, l’affermazione secondo cui “l’assenza di documentazione che dimostri l’esistenza delle patologie che avrebbero giustificato la prescrizione dei farmaci non costituisce dimostrazione, neppure di tipo presuntivo, del danno erariale”. Inoltre: “per un verso, non è obbligo del medico conservare copia di referti o prescrizioni di medici specialisti o quant’altro; per altro verso l’assenza di riscontro, negli archivi della A.S.L., di esami o visite specialistiche, non è significativa, non potendosi escludere che il paziente li abbia effettuati a proprie spese”.

Qualche nodo da dipanare. Il rapporto tra autonomia scientifica e controllo pubblico è antico e spesso conflittuale. I nostri tempi, che un approccio realistico impone di considerare meno suntuosi di quanto si desiderava immaginare, impongono che molte condotte, astrattamente ritenute discrezionalmente sovrane, siano “governate” da parametri limitanti. Sarebbe misero e fuorviante ridurre la “appropriatezza prescrittiva” al parametro delle risorse, ma queste ultime hanno il loro peso e, soprattutto, hanno organi di controllo con potere di sanzione: un equilibrio difficile. In particolare, alcuni nodi restano da dipanare. Tra i più importanti, eccone un paio: anzitutto, la nozione di appropriatezza resta ancora da precisare nel dibattito (soprattutto politico e amministrativo) che è poi è destinato a ispirare i provvedimenti normativi; inoltre, saranno da chiarire sempre meglio, soprattutto in sede giurisdizionale, le condizioni in presenza delle quali la discrezionalità abbia “il permesso” di prevalere sugli standard (inevitabilmente restrittivi). Un lavoro da fare, presto e bene anche alla luce dell’art. 1 Legge n. 24/2017.

 

 Giovanna Marzo – Presidente Associazione Auxilia Iuris